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Hai fiducia nelle tue capacità? Scopriamo la self-efficacy

Una domanda che ricorre spesso nello sport tanto quanto nella vita – pensiamo per esempio a quando ci apprestiamo a fare dei colloqui di lavoro – è proprio questa: ho fiducia nelle mie capacità?

Prima ancora di rispondere, è necessario sapere che esiste una correlazione importante tra la fiducia nelle proprie capacità, ovvero la cosiddetta self-efficacy, e l’andamento di una performance, anche sportiva. Le self-efficacy infatti, che si definisce formalmente come la fiducia nelle capacità personali di eseguire un compito con esito positivo attraverso l’espressione di abilità1, è un meccanismo cognitivo che determina l’analisi delle informazioni inerenti le proprie capacità provenienti da diverse fonti; inoltre essa porta a precise azioni – per esempio la profusione di una certa quantità di sforzo e la costanza dell’impegno – ma anche pensieri ed emozioni.

Di conseguenza diversi studiosi2 hanno ricercato delle possibili modalità d’intervento ai fini di un incremento delle aspettative individuali di efficacia analizzando le informazioni derivanti da 4 fonti principali:

  1. La realizzazione di prestazioni, ovvero la fonte più significativa e importante di tutte: l’esperienza reale di abilità personale nella realizzazione di un preciso compito. In particolare in questo contesto torna molto utile un’adeguata formulazione di obiettivi (goal setting), specie se a breve termine, per fornire all’atleta gli standard con cui misurare la propria prestazione
  2. Le esperienze sostitutive, ovvero quelle eseguite da modelli simili all’atleta (ad esempio per genere, età e abilità); queste possono determinare nell’atleta che osserva la convinzione di essere anch’egli (o ella) capace di eseguire quel determinato compito
  3. La persuasione verbale, soprattutto se mantenuta entro limiti realistici di prestazione e se proviene da una “fonte attendibile” (cioè se si ha fiducia in chi esprime tale persuasione verbale). La sua efficacia è debole perché manca completamente la base di esperienza
  4. L’arousal emozionale, ovvero la presenza o meno di stati elevati di attivazione causati da ansia e tensione: la capacità di abbassare il proprio arousal e di diminuire l’ansia da prestazione influenza positivamente la self-efficacy.

Mai trascurare la self-efficacy! Gli studiosi3 infatti ritengono che essa non sia una forma di fiducia specifica in un preciso compito: la percezione di efficacia acquisita in un determinato ambito o lavoro infatti può anche generalizzarsi ad altre situazioni, diffondendo un senso di fiducia in sé stessi più ampio. Ecco perché è utile tenere sempre a mente qualche piccola strategia4 per innalzarla:

  • utilizzare sussidi esterni per facilitare la prestazione e ridurre lo scarto tra la prestazione reale e quella ideale
  • ripetere la prestazione corretta con l’immaginazione (cioè usare l’imagery)
  • modeling, ovvero osservare un’altra persona che esegue con successo la performance desiderata
  • controllare i pensieri (cioè usare il self talk)

Importante può risultare anche l’apporto esterno, nel caso dello sport da parte dell’allenatore e dello psicologo dello sport… soprattutto se abbiamo fiducia in loro!

Avete notato che un utilizzo corretto delle abilità mentali torna sempre utile? Puoi approfondire goal setting, self talk, imagery e modulazione arousal sfogliando i miei precedenti articoli!

NOTE:

1 Cfr. A. Bandura, Self-efficacy: towards a unifying theory of behavioral change, in “Psychological Review”, 84, 1977

2 Ad esempio D.L. Feltz, Understanding motivation in sport: a self-efficacy perspective, in G.C. Roberts (Ed), Motivation in sport and exercise, Champaign, IL: Human kinetics

3 Ad esempio E. McAuley, Understanding exercise behavior: a self-efficacy perspective, in G.C. Roberts (Ed), Motivation in sport and exercise, Champaign, IL: Human kinetics

4 J.M. Mahoney, Cognitive skills and athletic performance, in W.F. Straub and J.M. Williams (Eds), Cognitive sport psychology, New York: Sport Science Associates, 1984

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